Che differenza c’è fra un cane che ha già vissuto l’infezione e uno che non l’ha mai contratta?


Nel primo caso, se il paziente ha sviluppato i sintomi e non solo l’infezione, quindi ha manifestato la cascata immunitaria che induce tutta la pletora di sintomi (ipergammaglobulinemia, proteinuria, aumento della ferritina e dell’aptoglobina, dolori diffusi, iperviscosità del sangue, dermatiti e infiammazioni varie), vuol dire che la capacità dei macrofagi di essere sensibili all’interferone gamma prodotto dalle cellule Th1 è venuta progressivamente a mancare.

È un meccanismo complesso e multimodale, ma semplificando, significa che il parassita è in grado di spegnere la reazione dei macrofagi, i quali non sono più sensibili alla sua presenza e, anzi, lo trasportano in giro per l’organismo. Aumentando di numero, i parassiti attivano altri sistemi immunitari che portano alla liberazione di sostanze come IL-1, IL-6 e TNF, che alla lunga danneggiano tutti gli organi: è come avere la febbre costantemente per mesi o addirittura anni.

Questa condizione regredisce del tutto quando il numero di parassiti diminuisce o scompare (PCR negativa), ma la capacità dei macrofagi di rispondere all’infezione rimane altamente compromessa nel tempo. In caso di una reinfezione, come una puntura di pappatacio infetto, senza interventi alternativi di riattivazione (es. domperidone, glucani), l’organismo sarà notevolmente più debole di fronte alle successive infezioni.

Invece, il paziente che non ha mai contratto l’infezione potrebbe essere naturalmente immune, anche se non possiamo ancora determinarlo con certezza, o potrebbe mantenere una certa immunità residua che andrebbe comunque perduta col tempo.

In linea di massima, un cane che non è mai stato esposto, avendo macrofagi intatti, è statisticamente più resistente. Tuttavia, poiché la biologia si basa su grandi numeri, il discorso andrebbe esteso all’intera popolazione. È interessante notare che la maggior parte dei randagi non sviluppa i sintomi: questo suggerisce che chi si ammala rappresenta comunque una minoranza rispetto a chi resiste all’infezione.

Spero di averti dato degli spunti utili per riflettere.


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Dott. Gianluca Barbato
Medico Veterinario
Specializzato in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione
Consulente Scientifico per la
Training Center LLC

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